Commissione immigrazione Anci, le proposte per un’accoglienza diffusa sul territorio

Riaprire i termini del bando Sprar per favorire un sistema di accoglienza diffusa sui territori e garantire la tutela dei minori stranieri non accompagnati é quanto emerso dai lavori della Commissione immigrazione dell’Anci che si é riunita il 5 maggio a Roma.

“Oggi il totale dei posti di accoglienza è pari a circa 111mila, di cui sono 22.189 i posti Sprar. Questi dati ci permettono di dire che c’è ancora un forte squilibrio tra la percentuale di persone accolte nel circuito delle strutture temporanee, pari all’80%, e quelle accolte invece nello Sprar, pari al 20%”, ha sottolineato Irma Melini, presidente della Commissione immigrazione Anci in apertura dei lavori.
“Lo Sprar – ha proseguito – rappresenta un’eccellenza in Europa che vogliamo diffondere su tutto il territorio nazionale. Lo Sprar garantisce una maggiore affidabilità ma viaggia parallelamente al sistema dei Cas e delle prefetture”. Emerge dunque la necessità di puntare alla riapertura dei termini del bando Sprar e alla progressiva trasformazione dei centri straordinari di accoglienza in centri Sprar, come sottolineato da Melini che rimarca anche il ruolo decisivo delle Regioni nella gestione dell’accoglienza, soprattutto con riferimento all’accoglienza dei minori stranieri non accompagnati.

“Guardare ad un’accoglienza diffusa sui territori contro la logica delle grandi strutture sovraffollate è necessario per evitare un rigetto sociale”. E’ quanto ha sottolineato il presidente del Consiglio nazionale dell’Anci e sindaco di Catania Enzo Bianco intervenuto al dibattito che ha espresso soddisfazione per i lavori della Commissione e per l’impegno dei Comuni nell’accoglienza.

“Con il Governo e il Ministero dell’Interno – ha proseguito Bianco – l’Anci ha una interlocuzione costante e attenta per dare supporto ai Comuni e garantire un sistema unico di seconda accoglienza con uguali criteri e standard di servizi. Una esigenza che richiama anche alla necessità di una comunicazione coerente ed omogenea verso tutte le prefetture sulle linee strategiche verso l’opzione concordata dell’accoglienza diffusa, per piccoli numeri, secondo le modalità dello Sprar.

Il confronto con i Comuni: dagli hub regionali all’“accoglienza di frontiera”
I lavori hanno dato ampio spazio all’intervento dei rappresentanti dei Comuni che hanno rimarcato la necessità di ridurre i tempi dei ricorsi contro le decisioni delle Commissioni territoriali sulle domande di protezione internazionale per evitare un intasamento delle strutture di accoglienza da parte di coloro la cui domanda è stata denegata. I partecipanti hanno concordato anche sul ruolo decisivo degli Hub regionali soprattutto per quanto riguarda gli aspetti legati allo screening sanitario e alla primissima accoglienza dei migranti. In particolare, nel corso della giornata, è emerso anche il tema dell’accoglienza di “frontiera” con il caso di Ventimiglia e Gorizia. A Ventimiglia si concentra il più alto numero di respingimenti di migranti dalla Francia, una situazione insostenibile, come sottolineato da Paolo Pezzana, coordinatore della Commissione immigrazione di Anci Liguria che prospetta una maggiore collaborazione tra sindaci e prefettura nonché una programmazione dei respingimenti secondo una modalità diffusa su tutti i territori di frontiera.

Le buone pratiche
Anche il racconto delle buone pratiche ha trovato spazio nel corso del dibattito con l’intervento di Graziano Pirotta di Anci Lombardia che ha illustrato il progetto della Carta della buona accoglienza (scarica qui) rivolta ai CAS. Il testo, frutto della collaborazione tra Anci Lombardia e l’Alleanza delle cooperative (Aci welfare) rappresenta – si legge nel testo – “un impegno delle cooperative sociali che operano nell’accoglienza ai migranti per costruire percorsi di inclusione sociale, garantendo standard di qualità nell’accoglienza, segnando una distanza netta dalle troppe realtà che hanno trasformato un bisogno in un business”. La Carta si basa su sei punti fondamentali, tra cui garantire almeno tre pasti al giorno alle persone accolte, corsi di italiano per almeno otto ore settimanali e tirocini e percorsi di inserimento professionale per almeno il 10 per cento dei migranti presenti nelle strutture temporanee.

A Genova invece il Comune ha dato il via ad una esperienza di volontariato che vede i rifugiati impegnati in attività di cura degli spazi comuni. “Abbiamo cercato di dare una qualificazione in più al sistema di accoglienza. Abbiamo creato la possibilità di un volontariato per tutti coloro che sono accolti nel Comune di Genova”, ha ricordato Elena Fiorni del Comune. “Un esperimento – ha continuato – che sta funzionando molto bene soprattutto come veicolo di integrazione fra i ragazzi e le ragazze presenti a Genova”.

Intervista a Valentina Tomasi, assessora alle politiche sociali del Comune di Belluno

Valentina TomasiL’impegno dei Comuni si concentra non solo sul fronte della gestione dell’accoglienza e degli sbarchi ma anche su quello dell’attuazione di concreti percorsi di inserimento nel tessuto sociale di rifugiati e richiedenti asilo, come ricorda Valentina Tomasi assessora alle politiche sociali del Comune di Belluno. “E’ con questo obiettivo che si costituisce il gruppo di lavoro integrazione all’interno della Commissione immigrazione per concentrare i nostri sforzi soprattutto sugli aspetti dell’inclusione sociale e non solo sulle problematicità connesse all’emergenza”, ha chiarito Tomasi. In questa intervista Tomasi, ci parla degli obiettivi e della strategia che il gruppo, da lei coordinato, intende perseguire.

Perché un gruppo di lavoro sull’integrazione all’interno della Commissione immigrazione Anci? Quali sono gli obiettivi che si propone?

Vogliamo concentrarci su un tema molto importante in un momento estremamente critico. Oggi ci si concentra più sulle problematicità legate all’emergenza e sulla gestione dell’accoglienza, non c’è tempo e modo di concentrarsi sugli altri aspetti come quello fondamentale dell’integrazione e su tutti quegli interventi e fondi (ad esempio il fondo FAMI) che hanno una forte ricaduta sul territorio e sul welfare locale.
Uno dei principali obiettivi di questo gruppo è quello di puntare ad un protocollo di intesa o ad un accordo tra Anci e Regioni per garantire una collaborazione concreta tra Comuni e Regioni non solo per gestire al meglio l’accoglienza ma anche per attuare politiche di integrazione sul territorio. Esistono molti fondi, come i fondi strutturali o il fondo sull’inclusione sociale, che non possono essere sprecati ma devono essere razionalizzati e andare ad integrare e strutturare piani di accoglienza già presenti a livello regionale. Altro obiettivo al centro del gruppo di lavoro è quello di permettere lo scambio e la diffusione delle buone pratiche già attive a livello locale perché possano essere replicate anche in altri contesti locali.

Quanto conta favorire anche il coinvolgimento dei residenti, dei cittadini nell’attuazione delle politiche di accoglienza?
E’ fondamentale, l’integrazione passa necessariamente per il tessuto sociale e il tessuto sociale è fatto dalle persone. Pensare a progetti di inclusione o ad una serie di misure sull’ integrazione che escludano la collaborazione con i cittadini è fallimentare già da principio. A livello locale esistono già molte forme spontanee di collaborazione che nascono dai cittadini che vogliono essere protagonisti del territorio e non essere abbandonati. Così come molti sindaci, soprattutto quelli dei Comuni più piccoli, con meno di 5mila abitanti. I comuni della provincia di Belluno sono molto piccoli e in molti casi effettivamente si sentono lasciati soli. Per questo la concertazione è fondamentale e soprattutto la volontà di non replicare le stesse azioni ma di strutturarle in una rete coinvolgendo gli attori locali è il primo passo da compiere se vogliamo che gli interventi volti all’inclusione sociale e all’integrazione sui territori funzionino.

Sia a livello nazionale che europeo il modello dell’accoglienza diffusa sembra la strada da percorrere per comunità aperte e solidali. Qual è il suo punto di vista?
Lo Sprar ti consente di avere la misura di quello che è l’ideale “regolativo” anche di tutta la gestione dei Cas e dell’accoglienza di primo livello. Oggi lo Sprar è solo un quinto dell’accoglienza in Italia, gli altri quattro quinti devono mutuare pian piano i criteri e gli standard dello Sprar che ci racconta un sistema che funziona e che riesce a seguire le persone con progetti “personalizzati”. Molte buone prassi però ci sono anche in alcuni Cas più virtuosi, dove si è scelto il modello dell’accoglienza diffusa, dove non ci sono grandi assembramenti ma ci sono piccoli gruppi di persone collocate in piccoli appartamenti. Solo così si può entrare nel vivo della vita di quartiere, della città favorendo la nascita di reti di relazioni e la conoscenza reciproca tra cittadini e rifugiati. L’accoglienza diffusa, pertanto, credo sia l’obiettivo che dobbiamo mantenere e quello a cui dobbiamo tendere non solo per lo Sprar. Se da un lato è necessario ampliare lo Sprar dall’altro anche il sistema della prima accoglienza deve sempre di più mutuare i criteri dello Sprar.

@AngelaGallo