USE-Act, Napoli promuove l’uso di mappe e open data per una pianificazione partecipata del territorio

Coinvolgere i cittadini nelle grandi trasformazioni urbane è la sfida che accomuna amministrazioni locali di tutta Europa, soprattutto alla luce delle strategie di riduzione di consumo di suolo che ridisegnano le città a partire dall’esistente. L’utilizzo di nuovi strumenti di grafica e visualizzazione dei dati contribuisce in numerosi contesti locali a favorire una migliore comprensione da parte dei cittadini dei processi di sviluppo realizzati dalle autorità pubbliche, come nel caso di Barcellona

 

 

Il progetto Use-Act, che vede Napoli come capofila, ha dedicato al tema un Bilateral meeting con la partecipazione di rappresentanti di Riga e della contea del Buckingamshire che hanno messo a confronto progetti ed esperienze in corso nelle città italiane ed europee sull’uso di strumenti di visualizzazione grafica per la riqualificazione urbana.

Le numerose sperimentazioni in corso in Italia, tra cui il progetto InViTo realizzato dall’Istituto superiore sui sistemi territoriali per l’innovazione e dal Politecnico di Torino, sottolineano l’importanza sempre più forte dei sistemi grafici, in 3D o meno, per la visualizzazione dei cambiamenti urbani e la partecipazione ad essi.
Grafica al servizio della democrazia locali, si potrebbe dire, ma anche di più: rappresentare al meglio il volto futuro delle città contribuisce a rendere i cittadini parte di una serie di scelte pubbliche precedentemente intraprese da architetti e decisori politici sulla base di set di dati e rendering disponibili e “leggibili” solo agli addetti ai lavori.
Le nuove tecnologie contribuiscono a democratizzare i cambiamenti infrastrutturali a livello locale e al contempo riducono le conflittualità che emergono in seguito ad una scarsa comunicazione del reale impatto dei lavori pubblici.

 

Numerose sono però ancora le criticità legate alla diffusione di tali sistemi: l’analisi del sistema di visualizzazione cartografica di Napoli fa emergere la necessità di maggiori investimenti pubblici nell’ICT e nella realizzazione di set di open data che possano favorire un’innovazione diffusa attorno alle nuove forme di riqualificazione urbana.
Se da un lato la diffusione dei sistemi di rappresentazione grafica degli spazi urbani rappresentano un’opportunità di conoscenza per l’intero contesto urbano, dall’altro rimettono completamente in discussione l’approccio attuale di comunicazione dei cambiamenti urbani: attraverso strumenti 3D che forniscono visualizzazioni molto più puntuali che in passato, i cittadini diventano co-creatori del cambiamento urbano e non semplici spettatori di processi che finiscono comunque per impattare sulla loro qualità di vita.

Intervista a Jim Sims – Development manager presso Buckingamshire Business First
Perché avete scelto di lanciare un sistema di visualizzazione 3D dei dati a supporto del processo partecipativo attivo in città?
Penso che il processo partecipativo sia paragonabile ad un triangolo, che vede su uno dei vertici i cosiddetti place shapers (architetti, tecnici e persone direttamente coinvolte nel processo), su un altro gli stakeholder locali (associazioni e movimenti locali) e poi ci sono i residenti. Nella nostra esperienza abbiamo visto che questi ultimi due punti del triangolo cercano di fermare ogni forma di nuovo sviluppo sul territorio mettendo in pratica la cosiddetta “sindrome Nimby” (Not in my back yard – Non nel mio cortile).
Nella nostra contea, ad esempio, ci sono alcune località nelle quali le traiettorie di sviluppo sono state gradualmente migliorate nel tempo ma i residenti resistono a tali cambiamenti e si oppongono all’utilizzo delle cinture verdi attorno alle città. Si sono persi oltre 17mila posti di lavoro a causa della perdita di attrattività di tali luoghi e per le proteste delle persone.
Per quale motivo si registra una tale concentrazione di proteste da parte dei residenti urbani?
La gente spesso non possiede le conoscenze in possesso dei tecnici su quello che sta avvenendo e non hanno una visione sul lungo periodo: ciò non li aiuta a comprendere in che modo i cambiamenti urbani possono incidere sulle loro vite e per questo resiste la sindrome Nimby.

Come avete pensato di risolvere tale problema?
Attraverso la realizzazione di una visualizzazione in 3D, basata sul modello del videogioco Sim City che ti consente di interagire con una città nel ruolo di sindaco. Abbiamo fatto passi avanti nel realizzare questa versione locale del programma ma c’è bisogno di un forte investimento pubblico per questo. Puntiamo a integrare in un’unica piattaforma tanti data set differenti per far sì che possano essere utilizzati nelle maniere più varie. Il nostro problema è quello di rendere questi dati disponibili per diversi tipi di applicazioni. Ad esempio, il nostro modello di trasporto locale non è più sostenibile poiché in troppi viaggiano da soli in auto, il trasporto pubblico non offre abbastanza e l’intero paradigma di trasporto non è efficace: per questo bisogna rompere le barriere per creare soluzioni attraverso l’innovazione tecnologica. Ciò può aiutare a rompere il modello di finanziamento pubblico tradizionale al trasporto, creando sistemi che spingano ad una transizione rapida verso la responsabilizzazione degli utenti. L’utilizzo di sistemi tridimensionali e smart data aiuta le persone a conoscere meglio le conseguenze delle loro azioni e le responsabilizza contribuendo ad un graduale cambiamento dei loro comportamenti quotidiani.

Quali progetti stanno costituendo per voi un modello e in che modo la ricetta suggerita dagli architetti della Federico II di Napoli, che prevede un uso misto di hard data e soft data, può essere utile per migliorare il coinvolgimento civico attorno ai cambiamenti urbani nel vostro contesto locale?
Dobbiamo puntare sempre di più a risolvere il problema dei dati e non delle loro applicazioni. Bisogna vincere questa sfida a livello locale, individuando quale correlazione esiste fra i diversi data set e abbinandolo all’analisi di altri indicatori come la sentiment analysis che misura la felicità delle persone che vivono in uno stesso posto. Noi non conosciamo ancora in che modo interagiscono tali valori ma è giusto comprendere se le persone sono soddisfatte del posto in cui vivono. È come avere un recipiente in cui mettiamo dentro tanti diversi e tocca a noi trovare in che modo sono legati tra loro. Bisogna trovare il modo di coinvolgere la società attorno ai nostri dati. La pubblica amministrazione non ha più le risorse che aveva in passato e per questo dobbiamo trovare un modo che favorisca la crescita del territorio con la creazione di valore aggiunto derivante dall’interazione fra i diversi attori del territorio

L’utilizzo delle diverse tipologie di rappresentazione grafica contribuiscono anche a rafforzare il senso di appartenenza dei residenti nei confronti del territori, aiutando a ripensare i propri luoghi di vita in maniera diversa rispetto al passato. A Napoli il progetto Use-Act sta promuovendo un utilizzo concreto di dati e visualizzazioni per favorire la riappropriazione creativa della città da parte dei suoi residenti.
Le mappe interattive realizzate in collaborazione con il progetto MappiNa rappresentano un’applicazione concreta del principio di mappatura democratica e condivisa teso alla condivisione di approcci, spunti e visioni con i residenti dei quartieri cittadini

 

A colloquio con Ilaria Vitellio, urban planner e CEO di MappiNA
@ilacopperfild

Come funziona MappiNa?
E’ una piattaforma di collaborative mapping tesa a coinvolgere gli abitanti nella realizzazione di una mappa alternativa di Napoli fondata su un’immagine culturale diversa della città. Mappina chiede ai suoi abitanti di non raccontare la città dei monumenti o della pizza ma di superare l’immagine stereotipata di Napoli attraverso il racconto di una città più europea dove trovano posto la street art, un uso originale dello spazio urbano, gli arredi urbani utilizzati per decorare le strade, i suoni, gli spazi abbandonati, le idee di riuso e i percorsi alternativi. Mappina contiene anche la mappa degli attori culturali e degli eventi, liberamente aggiornata dagli utenti.
In che modo vengono coinvolti i mappers?
Attualmente abbiamo una rete di circa 400 mappers che si sentono parte di una vera e propria comunità, contribuendo ad aggiornarlo in maniera costante anche se con tempi e modalità non uniformi.

Che fotografia di Napoli emerge da MappiNa?
Da MappiNa, che ha accessi da Stati Uniti, Francia e Germania, esce fuori l’immagine di una Napoli “normale”, piena di opere d’arte di writer come di chiese abbandonate. La pubblica amministrazione dovrebbe iniziare a capire che non è solo uno strumento importante di rappresentazione ma anche di espressione, in cui raccontare anche le forme di riutilizzo temporaneo delle città. In MappiNa, ad esempio, abbiamo inserito il riuso di un cavalcavia a Gianturco come rocodromo, trasformandolo in un muro dell’arrampicata urbana.

In che modo questo tipo di iniziative può dialogare con la pubblica amministrazione e renderne più efficace l’utilizzo degli open data?
Abbiamo tirato fuori tutti i dati resi open dall’amministrazione come quelli sugli immobili pubblici comunali, li abbiamo “ripuliti”, sottoposti a geocoding e georeferenziati. Abbiamo così mappato abitazioni, attrezzature collettive, lotti e terreni, chiese, cappelle, ascensori, fondi rustici, monumenti e strade. MappiNa li renderà a breve disponibili agli utenti gratuitamente per poterli ulteriormente riutilizzare e far sì che costituiscano una base di conoscenza condivisa.

Come si inserisce la sua azione nel quadro delle attività napoletane di Use-Act?
Abbiamo dedicato tre mappe al progetto, mettendo a disposizione la nostra piattaforma in favore della realizzazione del Piano d’azione locale. Intendiamo così contribuire grazie alla mappa all’autocostruzione dell’identità di una quartiere, partendo alla ricerca delle risorse immateriali che ruotano attorno a Montesanto, Mercato e Quartiere intelligente.
La mappa è uno strumento di visualizzazione grafica semplice e user-friendly che funziona da social di quartiere georeferenziato, capace di rendere le persone protagoniste passando da informer a performer. 

Use-Act sta coinvolgendo nella sua sperimentazione napoletana anche luoghi-simbolo del rilancio di quartieri popolari della città, come la storica zona di Montesanto. È lì che prende vita il Quartiere Intelligente, capace di riqualificare la storica scalinata realizzata dal Filangieri attivando pratiche urbane ecologiche e sostenibile e aprendosi alla collaborazione con i residenti del quartiere.

Le fondatrici di Quartiere Intelligente, Cristina Di Stasio e Lorenza Improta, ci raccontano in che modo Urbact può contribuire all’affermazione di progetti e iniziative legate al Quartiere Intelligente

In che modo il Quartiere intelligente agisce a Montesanto?
Quartiere Intelligente nasce a Montesanto a giugno 2013, con varie attività che tengono viva la struttura e la scala di Montesanto. L’idea nasce dal coinvolgimento di una serie di professionisti attivi nel settore della sostenibilità urbana che hanno scelto di unire le loro competenze per realizzare un laboratorio sperimentale per l’ecosostenibilità in collaborazione con i cittadini.
Come?
Dalla parete verde verticale al riciclo, Quartiere intelligente cerca di coinvolgere le persone nella realizzazione di iniziative che portino innovazione nel quartiere. Attualmente ospitiamo anche un laboratorio per i bambini, un orto sinergico e una libreria ecosostenibile per i residenti. Vorremmo sostenere la microimpresa con i ragazzi del quartiere, agendo da contenitore per la realizzazione di idee innovative. In partenariato con il Museo Madre stiamo inoltre realizzando un progetto di arte pubblica con la proiezione serale di video realizzati da artisti sulle mura esterne visibili anche dalla parte alta della città

Con quali iniziative state collaborando con il progetto Use-Act?
Abbiamo fornito il progetto esecutivo di rigenerazione del capannone retrostante la nostra struttura, anticamente utilizzato dall’Atan (vecchio nome dell’Anm, l’azienda napoletana di trasporto pubblico, ndr) ma da tempo abbandonato. Puntiamo a rigenerare l’intera zona attraverso la realizzazione di un’aula studio per giovani artisti e per gli studenti delle quattro università che hanno sede attorno al quartiere. Sul modello del Murarte di Torino, vogliamo realizzare un progetto che abbia ricadute positive anche sui giovani provenienti dalle fasce più deboli presenti nel quartiere, offrendo uno spazio che crei legami e interazione tra fasce sociali diverse. Abbiamo vinto il progetto Giovani Artisti Italiani e speriamo che tale iniziativa venga inserita nel Piano d’azione locale: con i primi 300mila euro assegnati dal bando Giovani Artisti inizieremo a riqualificare una parte della struttura poi speriamo che arrivino altri fondi.

Quanto può essere utile l’utilizzo di dati e mappe in un quartiere come Montesanto?
Quartiere Intelligente si trova in un posto talmente poco conosciuto dalla gente del quartiere che spesso i residenti non sanno neanche dare indicazioni a chi viene a cercarci. La scala non è stata più usata per anni per ragioni di sicurezza ma anche per la presenza della vicina funicolare (che collega Montesanto a Corso Vittorio Emanuele, ndr). Le visualizzazioni grafiche possono aiutare già gli stessi abitanti del quartiere a rendersi conto degli spazi nascosti che si trovano attorno ai loro luoghi di vita. Siamo convinti che anche attraverso il dialogo e il confronto sia con le istituzioni che con i residenti sapremo migliorare l’utilizzo di una scala che rappresenta un patrimonio per l’intera città.